IN CHE COSA DIVERSI?
Una premessa di carattere storico-linguistico è d’obbligo. In Italia solo in anni recenti è entrata nell’uso comune la parola disabilità.
Prima del cambio di rotta culturale che ha influenzato anche il nostro linguaggio (non senza molte reticenze e resistenze, alcune delle quali persistono ancora oggi), si parlava di handicap e portatore di handicap.
Vocaboli che avevano preso il posto di termini come spastico, mongoloide, cerebroleso, minorato o infelice, che venivano usati senza troppe restrizioni per indicare le persone con gravi deficit fisici o psichici, ma progressivamente avvertiti come inadeguati rispetto all’aggiornamento del dibattito scientifico e sociale in atto nei primi anni Settanta.
Fino agli inizi degli anni Novanta handicap e handicappato sono stati termini, nella loro accezione medico-sociale, avvertiti come legittimi, tanto che nel 1992 la Legge quadro n. 104 si poneva l’obiettivo di normare “l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. È stato nello stesso periodo che si è assistito all’ingresso progressivo nella nostra lingua dei termini disabilità e disabile. Un utilizzo spinto dall’alto: dalla giurisprudenza (la Legge n. 68 del 1999 parla di “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”) e dalla carta stampata. Un cambiamento che fuori dall’Italia era già in atto da tempo. Per rispondere agli sviluppi più recenti del cosiddetto “politicamente corretto”, oggi nel nostro Paese a disabile è stata affiancata anche l’espressione diversamente abile. Ma la definizione migliore (e maggiormente inclusiva) è senza dubbio persone disabili. *.
Un passaggio che ci è parso necessario prima di riportare i contenuti tratti da documenti e iniziative relativi agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, nei quali è sistematico il ricorso alla parola handicappato. Cosa che oggi rischia di stridere dal punto di vista semantico. Ma soprattutto si tratterebbe di abilismo, fenomeno che considera la disabilità un difetto, se non una colpa.
*Per maggiori approfondimenti sull’argomento: Accademia della Crusca, “Le parole della discriminazione”.
Nel 1978 Robegano era un piccolo paese dell’entroterra veneziano abitato da persone che avevano lì le proprie radici da generazioni.
La nascita di Franco, sei anni prima, unito al desiderio di Luisa e Roberto di far crescere il proprio figlio come parte integrante della comunità e soprattutto al supporto costante dell’associazione La Nostra Famiglia, hanno innescato un processo a dir poco rivoluzionario per quel periodo storico e per il contesto nel quale venivano proposti. Erano anni in cui chi aveva un figlio disabile lo teneva in casa, fuori dalla vita sociale, lontano dallo sguardo degli altri.
Proprio nel gennaio del 1978 Robegano fece parlare di sé per l’organizzazione da parte della parrocchia e dei gruppi associativi, in primis l’Agesci, della “Festa dell’handicappato”, che venne replicata anche negli anni successivi, diventando un appuntamento fisso durante il quale la comunità di Robegano – dai sacerdoti ai gruppi parrocchiali, dalle famiglie alle associazioni sportive e agli esponenti della cultura locale – verificava lo stato dell’arte dell’accoglienza e della reale disponibilità nei confronti dei disabili. Anche attraverso azioni concrete di solidarietà.
Nel gennaio del 1980 il titolo scelto per la “Festa dell’handicappato” fu particolarmente profondo, per certi versi provocatorio: “In che cosa diversi?”. A ispirare e rendere maggiormente sensibili gli organizzatori nei confronti di temi come la salute, l’educazione, la socialità, l’istruzione e l’accoglienza fu senza dubbio l’Anno Internazionale del Bambino, proclamato nel 1979 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. La Nostra Famiglia e i sacerdoti di Robegano – il parroco don Alberto Schiavetto, coadiuvato da monsignor Lino Regazzo – organizzarono due incontri al cinema parrocchiale, uno sul bambino handicappato a scuola e l’altro sul bambino handicappato inserito nel suo ambiente di vita, entrambi affidati a due professioniste dell’associazione, Luisa Conduri e Alda Pellegri.
La riflessione di partenza fu emblematica della profondità del percorso che la comunità robeganese stava affrontando: “Le frequenti esclusioni dei ragazzi handicappati o di soggetti particolarmente difficili da scuole, classi di catechismo, gruppi e iniziative parrocchiali evidenziano la necessità di affrontare questo doloroso problema alla ricerca di adeguate soluzioni. Gli incontri vogliono aiutare genitori ed educatori tutti a prendere coscienza del loro compito e a rispondere insieme alle più vere attese dei nostri ragazzi”.
Ma nelle feste annuali organizzate da quelli che scelsero di chiamarsi “Gli amici della Nostra Famiglia della parrocchia di Robegano” – con in testa Luisa, Roberto, Franco, i loro parenti, gli amici e gli scout – non c’erano solo le conferenze. C’era la messa animata dai ragazzi di Robegano assieme a quelli de La Nostra Famiglia; c’erano incontri fra arte e sport sponsorizzati dalla comunità, come la gara di bocce fra artisti e bocciofili, con i pittori che mettevano a disposizione una propria opera d’arte che poi veniva venduta durante la festa e il cui ricavato era devoluto all’associazione; c’erano gli spettacoli comici organizzati dai giovani del paese. Giornate di festa e accoglienza che sono rimaste nella memoria e nel cuore di chi le ha vissute.
Tutto questo proprio alla vigilia dell’istituzione da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il 3 dicembre di ogni anno, della Giornata internazionale delle persone con disabilità: era il 1981 ed era l’Anno internazionale delle persone disabili. Più noto, nel linguaggio e nella comunicazione del tempo, come Anno internazionale dell’handicappato.
“È difficile saper dialogare, creare un legame vero e spontaneo con chi presenta delle difficoltà visibili che noi non abbiamo. È difficile ma possibile, e questo grazie soprattutto alla ricchezza che loro stessi hanno dentro e al loro modo di comunicare con gli altri. Una loro riabilitazione e integrazione è comunque possibile solamente con lo sforzo di tutta la comunità”. Sono le riflessioni riportate nel volantino di presentazione della quarta edizione della “Festa dell’handicappato”, in programma domenica 25 gennaio 1981 e allargata anche agli ospiti del Piccolo Rifugio di Campocroce di Mogliano Veneto.
Nell’estate del 1981 un gruppo di giovani del paese scelse di partecipare a un’esperienza di servizio nella casa dell’associazione La Nostra Famiglia a Candriai di Trento assieme a bambini e ragazzi disabili e alle loro famiglie. Un’esperienza che lasciò un segno profondo.
L’anno successivo, il 1982, la comunità di Robegano mise nero su bianco lo stato dell’arte del proprio rapporto con la disabilità, alla luce soprattutto dell’anno internazionale appena chiuso. Un vero e proprio esame di coscienza (e di critica), esattamente come era stato proposto dagli organizzatori in occasione dell’istituzione dell’appuntamento annuale di gennaio.
“In questi cinque anni – si legge nel volantino di presentazione della Giornata (e non più Festa, com’era invece agli esordi) dell’handicappato – abbiamo avuto la possibilità di renderci conto che esisteva (anche se qualcuno si ostina a ignorare) la realtà delle persone con handicap e dei problemi che la coinvolgono. Nel frattempo qualcuno di noi ha avuto la possibilità di fare qualche esperienza in merito e perciò il campo della problematica si allarga e coinvolge direttamente il singolo, la famiglia, la parrocchia, i gruppi, la società, le strutture pubbliche… A questo punto noi ci chiediamo di fare un ulteriore passo per maturare rispetto alla realtà dell’handicappato: crediamo opportuno innanzitutto fare il punto della situazione e una verifica delle nostre esperienze. Crediamo importante mettere a fuoco i problemi relativi alla situazione del nostro paese; cerchiamo di assumere un impegno più serio che abbia delle basi radicate nella nostra vita quotidiana e che possa essere continuativo”.
In quella quinta edizione si tennero la mostra dei lavori realizzati dai ragazzi disabili, la proiezione di un filmato sull’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro, l’incontro con Alda Pellegri sul tema “Per capirsi – Per capire – Per farsi capire” sulla “psicologia della persona sana nei confronti dell’handicappato” e quello con l’allora presidente dell’Usl 17 Alfredo Barbiero sull’”Inserimento socio-sanitario dell’handicappato”.
Il 1982 fu l’ultimo anno in cui venne organizzata l’iniziativa.
Un’ultima annotazione sul 1982. Il 17 gennaio il settimanale diocesano “La vita del popolo” pubblicò un articolo sulla realizzazione della nuova scuola elementare di Robegano e sulla mancanza di adeguamento della stessa all’uso da parte dei disabili. Insomma, il progetto non prevedeva l’eliminazione delle barriere architettoniche. Il giornalista Nello Duprè intervistò Roberto Niero.
L’allora assessore alla pubblica istruzione del Comune di Salzano, Mario Busatto, scrisse una lunga e articolata lettera al direttore della testata, rivendicando il fatto che nell’edificio scolastico in via di ultimazione non c’erano barriere architettoniche, “anche se per l’opera completa si dovrebbe costruire un ascensore per il primo piano”. Ma per il momento e fortunatamente, spiegava colui che di lì a pochi anni sarebbe stato eletto sindaco, non si riscontravano necessità tali per affrontarne la spesa: “Infatti il numero degli interessati portatori di handicaps fisici non autorizza l’impiego di spesa per tale opera”. Un lucido esempio di come in quegli anni (e fino a quando non divenne obbligatorio per legge) le amministrazioni pubbliche progettassero unicamente sul presente e non in prospettiva futura.
“Colgo l’occasione, Signor Direttore, per sottolineare anche pubblicamente il gruppo ‘Amici degli handicappati’ di Robegano, ed in modo particolare il suo coordinatore Roberto Niero, per il modo civile e propositivo con il quale questo gruppo porta avanti la sua ‘battaglia’. L’amministrazione comunale nella sua totalità – scriveva Busatto – ha ben presente il problema sociale degli handicappati anche se tante volte non ha i mezzi sufficienti per garantire il massimo a tutti. Magari fosse tutto così ‘facile’ come il problema delle barriere architettoniche. Sappiamo invece quante e quali sono le difficoltà per un reale recupero ed inserimento nella società di questi nostri cittadini che in ogni modo non devono essere considerati di serie B”.
E ancora: “Siamo convinti però che attraverso iniziative analoghe a quella degli ‘Amici’ di Robegano si potrà continuare nella soluzione dei vari problemi che investono la società, la famiglia e gli stessi interessati portatori di handicap. Mi consenta inoltre, Signor Direttore, affermare che non è necessario alcun ‘credo’ politico per essere aiutati o per poter collaborare alla soluzione di così gravi ed urgenti problemi. Da parte dell’amministrazione comunale esiste la volontà di collaborare e progredire”.