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GLI SCOUT

Il gruppo scout Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) di Robegano è nato l’8 dicembre 1972. Ha appena compiuto cinquant’anni. 
Una realtà importantissima per il ruolo sociale, educativo e comunitario che ha avuto e continua ad avere in paese

Sono circa 800 le ragazze e i ragazzi che in questo mezzo secolo hanno indossato il fazzolettone rossoblù. 

Franco è stato uno di loro.

Come Fausto, suo fratello. Come i suoi zii, i suoi cugini e le sue cugine, i suoi compagni e le sue compagne di scuola. E come papà Roberto, che ha seguito Franco in questa avventura, diventando uno dei capi e stringendo rapporti profondi e sinceri.

Un’esperienza fondamentale dal punto di vista educativo e sociale. Un’esperienza inclusiva e vissuta pienamente, nella quale sono nate le amicizie di Franco. Quelle che sono durate per tutta la sua vita e che hanno delineato i contorni della sua comunità.

Le testimonianze dei capi scout delle branche di cui Franco ha fatto parte sono riflessioni che arrivano nel profondo e portano in superficie – in una condivisione preziosa – il  valore che la presenza di un bambino che poi è diventato ragazzo, giovane e adulto ha regalato ai suoi educatori e alle sue educatrici, agli scout, all’intera comunità parrocchiale e a quella comunità più ampia che è Robegano. Un’esperienza di crescita condivisa.

Luciano Rizzato – ex capo Lupetti

«Quello che mi è stato chiesto, di parlare di Franco al tempo dell’esperienza scout dei Lupetti, è qualcosa che vorrei riuscire a fare. Ma parlare di Franco, di lui, di lui come persona, mi risulta molto difficile. Sicuramente mi risulta molto più semplice parlare di quello che ha provocato nelle persone che gli sono vissute accanto, come la sua sola presenza abbia provocato delle reazioni, delle scelte. 

Mi risulta difficile parlare di lui perché potrei solo dire cosa era Franco e questo mi fa solo paura, come se considerare una persona una cosa fosse il più grosso limite che avrebbe questa mia riflessione. 

La sua presenza, il suo essere, mi ricorda il titolo di un libro molto piccolo di Julien Green, “Passeggero sulla terra”, perché Franco è arrivato, è passato, l’abbiamo visto tutti, e poi come una cometa se ne è andato.

La normalità di Franco era di essere tetraplegico, di avere una enorme difficoltà a comunicare e altrettanta difficoltà a farsi capire, ma la sua umanità non era diversa, i suoi desideri erano normali e le sue reazioni alla realizzazione dei suoi desideri erano normali, come normale era la sua reazione agli insuccessi.  Ma quali fossero i suoi desideri e le sue frustrazioni non saprei dirlo: come capo scout ho solo cercato di non creargli diversità. E per questo la presenza di Roberto, suo papà, è stata fondamentale.

Potrei dire alla fine che non so chi fosse Franco, ma che ho sempre pensato a lui come un normale essere umano.

Ricordo bene che un giorno Roberto mi ha detto: “Sai, mi chiedono come sta Franco, come se fosse malato, ma lui  non è malato, è così”. Questo io lo sapevo bene e chi chiedeva della malattia di Franco si fermava a ciò che appariva, ciò che vedeva.

Anche per la sua difficoltà a esprimersi, non sono mai riuscito ad avere un suo pensiero genuino e ho sempre pensato che quel poco che capivo fosse tutto di Luisa e Roberto. Ma possiamo dire che gli altri bambini esprimano una loro genuinità? 

Grazie per avere pensato a me per questo ricordo di Franco. Sono grato anche a Roberto, soprattutto perché potendo pensare riesco a capire meglio le mie sensazioni, ma non credo che questo significhi molto per capire Franco, semmai mi aiuta a capire me stesso e poi alla fine potete vedere che riesco a parlare di me, non di lui.

Franco, una cometa che è passata e ha lasciato dietro a sé una quantità di polvere di stelle incredibile che ha generato vita, progetti e realizzato persone».

Chiara Busatto e Maurizio Niero – ex capi Reparto 

Franco, un vero esploratore oltre ogni sfida e ogni frontiera

«La notte ha oscurato il campo permettendo di gustare un meraviglioso cielo stellato. Terminato il fuoco, i ragazzi e le ragazze sono andati a dormire nelle loro tende, esausti per le attività in un luogo poco pianeggiante. Siamo nel 1985, in una delle ultime sere del campeggio del reparto Robegano 1 in località La Sala, vicino ad Alleghe, caratterizzata da tanta ghiaia ma anche da un ruscello che rendeva piacevole le ore più calde.

Tra i ragazzi c’è Franco, al suo primo anno di reparto. Una sfida per lui e per tutti, vista la grande difficoltà di armonizzare la sua situazione e le caratteristiche di un campo scout.

A mezzanotte il fischietto dei capi raduna tutti al centro del campo: Franco non è in tenda e non si trova. Che si sia perso nell’andare a fare i propri bisogni o che sia vittima di qualche balordo? Bisogna cercarlo nel buio della notte, seguendo le eventuali tracce lasciate. L’ansia o l’avventura della ricerca lenisce le paure e tutti si proiettano nel bosco, cercando di non fare troppo rumore.

Dopo una mezzoretta un gruppetto trova Franco nascosto all’interno di una specie di grotta con una grata che dava l’idea di una prigione. Trovato! Trovato!!!

Franco trasuda gioia. Il suo solito sorriso si apre a bocca aperta e il suo corpo è tutto un sussulto nel partecipare all’esultanza di quanti arrivavano gridando a squarciagola. È una festa alla luce delle pile e tra canti e risa Franco è riportato al campo, dove un buon tè caldo dà la possibilità a tutti di raccontare l’avventura.

Abbiamo scelto questo episodio perché ci permette di evidenziare alcune cose importanti di Franco, che per noi sono esempi di un pensare e un agire che sanno raccogliere le sfide della vita.

La prima, legata alla sua partecipazione al gioco, è il desiderio di vita. Franco è sempre stato pieno di desiderio, non come possesso di cose ma come orizzonte che apre alla vita, al nuovo. Il desiderio, quando incrocia una relazione, diventa creatività, esperienza concreta capace di trasformare persone e cose. Generare vita nuova.

La seconda, riferita alla sua disponibilità a un ruolo attivo malgrado le difficoltà, è la volontà di mettersi continuamente in gioco nonostante i propri limiti e fragilità e di accettare le fatiche per arrivare a ciò che si vuole fare e vivere in profondità e pienezza.

La terza, legata alla grande partecipazione emotiva e alla gioia finale, è la capacità di relazione mediante l’amicizia sincera. Nella sua lettera di partenza, Franco dice che la sincerità è un valore che ha imparato dagli scout e che voleva scommettere con gli amici nella vita. 

Franco aveva difficoltà a esprimere bene le parole e per ascoltarlo bisognava fare silenzio. Sia noi come capi che i ragazzi siamo sempre stati sollecitati a porci in condizione di ascolto, valore fondamentale in ogni accoglienza vera delle altre persone. Ciò ha sicuramente inciso anche nelle relazioni dei ragazzi, perché non crediamo sia solo una coincidenza che nei nati nel 1972 a Robegano, ben dodici appartenessero con Franco al reparto e che tutti abbiano proseguito la loro esperienza scout anche dopo i quattro anni nella branca esploratori e guide. Che sia una “Francoincidenza”? 

Vogliamo ricordare anche un episodio in cui Franco si è incazzato.

Eravamo in un momento di verifica al Consiglio della Legge e, per alcune cose non andate per il verso giusto, aveva richiamato i ragazzi con enfasi, arrossendo, e con quella partecipazione del corpo e della voce testimoni della sua autenticità. 

Solo la credibilità dovuta alla sincerità e all’amicizia ci rende capaci di cambiare. Franco, anche con la sua ironia, ci ha sicuramente aiutato tutti a essere migliori».

Roberto Vian – ex capo Clan

“Sono stato capo scout di Franco nei primi anni Novanta, dalla sua salita in clan fino alla sua partenza, assieme a Chiara. 

Devo dire, prima di ogni altra cosa, che quegli anni, quelle esperienze e quei ragazzi sono stati fondamentali per me, lo sono ancora a distanza di anni e provo gratitudine per aver avuto la possibilità di viverli.

Un’altra cosa che devo dire è che, oltre a essere stato capo scout di Franco, ero anche suo cugino ed ero anche parte di quella incredibile comunità di amici che hanno frequentato per diversi anni casa sua, di Luisa, Roberto e Fausto, con cui ci vediamo ancora oggi e a cui vogliamo un bene grande. Quel tipo di amicizia, compagnia, giro, “queer family” qualcuno azzarderebbe oggi,  ha altrettanto caratterizzato il rapporto con Franco.
E in quegli stessi anni, assieme a Franco e a diversi altri soci e amici, abbiamo fondato la cooperativa Il Germoglio, che oggi tutti sanno cos’è ma che a quel tempo era solo una buona idea (all’inizio di mio zio Roberto) che cercava una forma di concretizzazione.

Ho voluto premettere queste cose perché il mio ricordo di Franco con il fazzolettone scout,  in clan, è contaminato fortemente da altre circostanze diverse ma contemporanee. Ma se questo, da un lato, non mi aiuta a ricordare con precisione il percorso fatto assieme, dall’altro mi permette di dare uno sguardo a un insieme più ampio, e soprattutto mi aiuta ad arrivare a una prima considerazione: Franco apriva porte, cunicoli, passaggi neanche tanto segreti tra mondi diversi.

Io non penso che Franco fosse appassionato dello scautismo in sé, anche se ne ha vissuto tutto il percorso da lupetto a rover. Credo invece che Franco fosse innamorato folle dell’amicizia, del rapporto con gli altri, e lo scautismo gli ha permesso di entrare in forte relazione soprattutto con i suoi coetanei, di vivere esperienze di comunità speciali e significative già per chi non aveva limiti fisici, figuriamoci per lui.

Ma allo stesso tempo Franco viveva la stessa passione per le relazioni a scuola, in compagnia con gli amici che frequentavano casa sua e, infine, in cooperativa. Questa ricerca di amicizia “senza frontiere” ha scavato cunicoli, come dicevo prima, e ha aperto porte comunicanti tra i mondi degli amici, dei parenti, dei compagni, degli scout e dei soci della cooperativa.

Questi “passaggi”, una volta creati, rimanevano aperti e chi era curioso poteva facilmente affacciarsi all’altra parte e scoprire cosa c’era di là. E così io e altri ci siamo trovati a essere più o meno simultaneamente capi scout, amici e soci, grazie ai cunicoli tra mondi che Franco ha scavato più o meno consapevolmente, più o meno visivamente, più o meno attivamente.

Si può dire che molte di queste porte le abbiano aperte Roberto e Luisa, ma sappiamo che un buon seme per fare frutto ha bisogno di una buona terra: Franco e i suoi genitori credo siano stati seme e terreno, anche alternandosi in questi ruoli.

La seconda considerazione nasce invece dopo aver letto il ricordo di Barnaba e Gilberto, amici e compagni di clan di Franco, di quando sono riusciti per la prima volta a far dormire Franco fuori casa senza Luisa e Roberto per una notte al campo di gruppo di Lentiai, nel 1993. É un racconto e un ricordo che mi ha emozionato e commosso, a cui non pensavo più da diverso tempo.

La considerazione è semplice: io non c’entro niente in quella impresa, ma proprio nulla. Quel coraggio, di tutti e quattro, quella sfrontatezza, quella determinazione, è solo frutto di una forte amicizia e di una formidabile fiducia reciproca tra ragazzi, tra amici, nata all’interno dell’esperienza scout, coltivata e cresciuta in reparto e poi in branca RS, e anche fuori dell’attività scout. Culmina con quell’atto, quella conquista, ma offre bene l’idea di quale fosse il rapporto tra tutti quei ragazzi e ragazze di quel clan, in cui i capi potevano fare anche un passo indietro e lasciare che ardesse quello che doveva ardere. 

Non c’era un clan e poi c’era Franco, c’era un clan.”

Lettera della partenza

Robegano, 6 febbraio 1994

Dopo tanti anni di scoutismo ho imparato il valore della SINCERITA’, che ora vedo come la cosa principale per una comunità che vuole crescere.

L’ho imparata dagli scout e voglio viverla anche fuori dell’associazione.

Proprio la sincerità è la parte di me stesso che voglio scommettere con gli amici, che voglio mettere in gioco dopo la scelta che sto per compiere.

L’AMICIZIA è una cosa importante, e forse per me è stata ancora più importante, perché se non ci fosse stata amicizia forse non avrei continuato il mio cammino in Clan.

Vorrei dire che l’amicizia è un grande valore che ognuno ha, che mi ha aiutato a vivere tante esperienze, uscite e anche un campo che mi ha aiutato a crescere molto.

La matrice che ha mosso tutto il mio essere scout è stata la FEDE.

Attraverso lo scoutismo ho imparato a seguire anche la dimensione della fede, che mi ha aiutato molto a maturarmi nel rapporto con Dio e con gli altri.

Franco

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3d book display image of LA FELICITA' NON DIPENDE DALLA FORTUNA

LA FELICITA' NON DIPENDE DALLA FORTUNA

MA DALLA CAPACITA' DI LEGGERE LA VITA
Ci sono persone che hanno la capacità di rimanere per sempre. Anche quando muoiono. Certo, tutti coloro che ci lasciano continuano a essere nei nostri pensieri, nei nostri ricordi, nelle nostre lacrime, nei sogni. Ma c’è anche chi riesce a fare di più.
Restare. Qui e ora. In un’altra dimensione, in un corpo che non si può toccare, in una voce che persiste nelle nostre menti e nelle nostre anime.
La loro presenza continua a farsi percepire forte e chiara.
Franco è una di queste persone speciali.
A ciascuno di noi ha lasciato qualcosa di prezioso e quel qualcosa continua a vivere.
A ciascuno di noi spetta il compito di custodire e testimoniare il suo insegnamento.

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