Leggi i capitoli
Noi del Libro  

GLI AMICI

Se c’è una “rete” i cui nodi continuano ancora oggi a essere molto stretti e affidabili è quella costruita da Franco, con Franco e per Franco. E che si chiama Amicizia.


In queste pagine sono molte le riflessioni in cui questa parola, amicizia, ritorna. Una parola che era il biglietto da visita di Franco, il valore del suo costruire relazioni personali. Una tessitura costante, fedele, affidabile, sincera, duratura. Fossero persone incontrate a scuola, in parrocchia, negli scout, al lavoro.
“Rete”, si diceva. Perché Franco ha avuto la grandissima capacità di riuscire a mettere insieme, unire, far dialogare, costruire gruppi eterogenei. Amicizie nate grazie a lui.

Il primo a entrare nella “rete” – che a quei tempi era formata prevalentemente dai cugini e dai bambini vicini di casa – è stato Marco.
Franco lo aveva incontrato alla sede di Conegliano dell’associazione La Nostra Famiglia, dove Marco era stato accolto e viveva. Nato all’ospedale di Venezia nel 1971 da una mamma giovanissima, era affetto da tetraplegia spastica. All’età di due anni venne accolto dall’istituto di Conegliano per le cure necessarie e la riabilitazione.

Un bambino chiacchierone, un affabulatore. Difficile non restarne affascinati. Aveva tanta voglia di conoscere persone nuove e di stringere amicizie. Fu così che conobbe Franco, che a quel tempo si sottoponeva alle cure riabilitative tre volte la settimana. Prima fu una simpatia reciproca, poi a poco a poco nacque una grande amicizia.

Marco cominciò a frequentare Robegano, ospitato da Luisa e Roberto a casa loro. Divenne subito uno di famiglia, un nipote e un cugino in più. Ma entrò a far parte anche del resto della comunità paesana. Chiese al parroco di allora, don Alberto Schiavetto, di fare il chierichetto.

Era sempre pronto allo scherzo. Una domenica, mentre aspettava l’ora della messa, si rivolse a don Lino Regazzo per concordare il testo di una preghiera che doveva fare durante la celebrazione e che diceva: «Gesù, fa che tutti i bambini ricevano l’affetto che io ho ricevuto da questa comunità». Ma al momento di recitarla, se ne uscì con una preghiera completamente diversa.
Marco è morto il 30 aprile 1983 a seguito di una grave crisi respiratoria. La sua gioia di vivere è rimasta nel cuore di tante persone.

Le testimonianze che seguono raccontano, anche attraverso episodi e aneddoti, quanto forte sia stato il legame costruito da Franco con coloro che sono entrati nella sua “rete”. E quanto potente sia quello che è stato creato.

La Casa – di Magda Natali

«Da quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per ricordare Franco ho continuato a rimandare il mio appuntamento con la scrittura perché racchiudere in poche righe trentacinque anni di vita vissuta è difficile.

Ho rimandato per pudore, perché la paura di risultare banale nel raccontare Franco è grande.
Allora proverò a mettere fra queste righe dei pensieri che spero possiate accogliere nella loro semplicità.

L’immagine legata a Franco è quella di una CASA.
La casa dove spesso andavo a trovarlo e dove è nata la nostra relazione.
Una casa che nel tempo è cambiata, che non c’è più, che si è adattata, che ha mutato in base alle esigenze di Franco.
Casa che si è trasformata, come lentamente si sono trasformati il nostro rapporto e il nostro legame.
Casa come tavola. Una tavola pronta per un pranzo o una cena. Una tavola per tanti amici.
Una tavola preparata con cura per assaporare cose buone, per assaporare la vita.
Casa come luogo di incontro. Incontri per sognare grandi idee e per realizzare progetti che sembravano più grandi di noi, come la nascita del “Germoglio” e la casa alloggio “Dopo di noi”.
Incontri di amici, di parenti, di persone che lentamente sono divenute una comunità capace di costruire legami forti e indissolubili.
Casa come piccola chiesa domestica dove vivere in comunione e sentire la presenza concreta del Signore, dove condividere la gioia di una nascita, di una comunione, di un matrimonio. E superare assieme il dolore di lutti e separazioni.

Franco mi ricorda che devo lasciare nella mia casa una porta sempre aperta per essere accogliente e avere fiducia.
Incrociare la vita di Franco mi ha aiutata ad alzare lo sguardo, a pormi domande e a non dare nulla per scontato.
Non percepisco la mancanza di Franco. Lui c è. Lo sento vivo nelle persone che con me hanno costruito una comunità, una grande famiglia.

Lo rivedo nei sorrisi di amici che possono stare per anni senza vedersi ma appena si incontrano hanno la consapevolezza di essere quello che sono grazie a lui.

Franco mi ha regalato la certezza che la vita va oltre la morte. Di questo gliene sarà infinitamente grata».

Eravamo quattro amici al bar – di Barnaba Natali e Gilberto Turri

«”Eravamo quattro amici al bar”. Perché?
Abbiamo scritto queste poche righe a quattro mani. Ma avremmo potuto scriverle a sei o anche a otto. Perché quando si scrive in e per amicizia più si è e meglio è.
Ci sarebbero tanti aneddoti e tante esperienze da poter condividere con tutti. Abbiamo scelto di soffermarci su alcune che riteniamo maggiormente significative, fra tutte quelle vissute assieme al nostro amico Franco.

Ciao Franco. Il pulmino di tuo papà è libero domani sera?
Perché?
Si va in disco!!!
Ok. Chi porta le cicche?
Noi! Ci divertiremo!

Ecco, non siamo qui per raccontare cosa si faceva o cosa si beveva, ma la fiducia che c’era tra di noi era tale che Franco si lasciava coinvolgere in qualsiasi nostra proposta, anche al di là dei suoi limiti fisici. Con i suoi amici sarebbe andato ovunque. Era sempre pronto a proporre qualcosa di interessante da condividere. E così il mercoledì in discoteca divenne un appuntamento fisso per molto tempo, al quale si avvicinò anche Samuele, accompagnato dai ragazzi di Scorzé.

Franco ha “dormito” fuori casa una volta sola senza i suoi genitori, in occasione del campo scout di gruppo del 1993. Quella notte lui non ha certo riposato, ma neppure noi. Ma la preparazione ce la ricorderemo per sempre.

Partenza da Lentiai, in trio: Baby, Mauro e Gibi. Arrivo a Robegano e, dopo aver fatto colazione alla “Locanda da Luisa e Roberto”, siamo partiti alle dieci del mattino. Lungo il tragitto ci sono state varie soste fra birrette e servizi. Poi il pranzo, la cena e la notte. E che notte! No, non raccontiamo nulla, ma possiamo assicurare che Franco è stato davvero grande. Diciamo come va detto: lui un po’ incosciente a fidarsi di noi e noi altrettanto, a credere di essere all’altezza. Abbiamo letteralmente rischiato di ucciderlo più volte, ma voleva essere presente a quel campo.

Nonostante il nostro obiettivo fosse di stare fuori casa due notti per condividere le nostre Partenze, il mattino seguente siamo tornati a Robegano. Un po’ delusi per non essere riusciti a portare a termine il nostro intento. Non rendendoci conto che già il fatto di dormire fuori casa una notte da solo, senza i suoi genitori, per Franco – ma soprattutto per noi – era una grandissima conquista.
Un’esperienza che non ci ha certo fermati. Tutt’altro. Eravamo sempre più carichi.
Altra idea di Franco: la cena fra padri e figli.

Facciamo una cena con i nostri papà?
Certo Franco.
Ok.

La prima serata venne organizzata a casa della famiglia Natali. Ogni papà doveva portare una bottiglia, mentre ogni figlio doveva pensare al cibo. Ecco, solo un aneddoto di quella sera, finita a Mestre a fare il giro di via Piave. Una “meta” sempre gradita a Franco, ma anche a tutti noi, che eravamo poco più che ventenni. Scherzi a parte, oggi c’è da riflettere sull’idea di riuscire a fare comunità tra figli ventenni e papà cinquantenni. Probabilmente oggi sarebbe difficile proporlo. Ma noi all’epoca la ripetemmo più volte.

Questo era Franco. E questi eravamo noi con lui. Grazie a lui.
Una delle nostre ultime esperienze di gruppo è stato un fine settimana in Valle di Casies. Noi ormai grandicelli, con prole al seguito. È stata una tre giorni di spensieratezza, di passeggiate e di ottimo cibo – una caratteristica, va sottolineato, che non è mai venuta meno nei nostri frequenti ritrovi.

Franco era il nostro catalizzatore e noi eravamo il carburante per poter vivere un’amicizia vera.
Tanto che ancora oggi ci ritroviamo spesso, nel suo ricordo. Sempre nella solita “Locanda da Luisa e Roberto”.
Ma ci sono state anche le esperienze di vita “sportiva”. In paese nevicava e Roberto realizzò una slitta che si agganciava alla carrozzina di Franco. Girammo tutta Robegano e al ponte della Marcellina, che era la discesa più bella da fare, ci siamo capottati spesso. Ma non era grave, anzi.

Quando arrivò la nuova carrozzina a tre ruote, quante corse! Franco ci ha tenuti allenati. Con gli scout c’è stata anche la partita di calcio al campo estivo a Torcegno: Franco giocava come punta assieme a Barnaba. A un certo punto gli arrivò una pallonata fortissima in faccia che però fece da assist a una bella azione: “Baby, gheto visto che passaggio?”. Chiunque altro al suo posto sarebbe stramazzato a terra dal dolore, ma la sua forza era tanta e ci sbalordiva continuamente. Voleva sempre essere protagonista. Essere solamente una comparsa non gli si addiceva.

Al di là di tutti i momenti che possiamo raccontare di tanti anni di vita condivisa nel nome dell’amicizia, “camminare” al fianco di Franco per tutti noi è stato qualcosa di unico e meraviglioso. E questo anche grazie a due splendidi genitori che gli hanno consentito di vivere esperienze che probabilmente altre mamme e papà (compresi i nostri) avrebbero fatto fatica ad accettare e consentire. Agli occhi di chi ci osservava, senza conoscerci, ciò che facevamo forse poteva sembrare troppo per un ragazzo disabile. Ma per noi era la normalità. Perché noi non abbiamo mai percepito di essere diversi da lui.

Occhi parlanti – di Roberta Zanata

«Spesso si dice che un’amicizia nasce dalle diversità. Tra me e Franco sono stati invece i punti in comune ad avvicinarci. Lo scoutismo, gli amici, il paese e l’età. Questo ci ha fatti incontrare. Eravamo entrambi adolescenti con la tipica voglia di uscire tra coetanei senza i genitori al seguito.

Per uno studente le giornate estive sono lunghe. Il tempo per ritrovarsi non manca. Era la nostra stagione preferita, l’estate. Appuntamento nel negozio di mamma Luisa e zia Lucia e tu, Franco, che mi aspettavi alla porta con sguardo puntato in direzione della piazza del paese.

Non abbiamo mai avuto difficoltà a comunicare. Anzi, parlavamo e sparlavamo per ore. Ma i tuoi occhi hanno sempre anticipato ogni tuo pensiero. Uno sguardo attento e vigile. Radar sempre in funzione. Che un po’ tradivano il tuo stato d’animo… non servivano troppe parole.

Andiamo a fare la spesa. È pronta la lista?, dicevo io.
Sì. Ma mamma, non troppe cose. Perché l’ultima volta ci siamo ribaltati!, ti raccomandavi tu, rivolgendoti a Luisa.

Non ho mai avuto un fisico bestiale. Per fortuna da quei capitomboli io ne uscivo solo con le ginocchia sbucciate e tu giù, in modalità tartaruga. Gambe all’aria. Scoprendo sulla nostra pelle cosa fossero davvero le barriere architettoniche. Quelle che ci costringevano a manovre rischiose.

Se ci avanzava qualche soldino andavamo al bar a berci un succo fresco. Avevamo anche scoperto che il furgoncino ambulante che vendeva frutta a domicilio nel tragitto perdeva sempre qualche moneta: e allora al martedì facevamo la ronda per raccogliere il bottino.

Seduti al bar, tutti ci guardavano con curiosità. Non mancavano i commenti indiscreti. “Ma xeo mato?”. “Sì, tanto”, rispondevo. E allora via a smorfie e gridolini per accentuare la stupidaggine della domanda.

Ma le risate più belle le abbiamo fatte durante le vacanze che abbiamo trascorso insieme in montagna, raggiunti anche da Barnaba, Martina, Roberto e Magda. Giravo per casa di Franco come se fossi una di famiglia e pertanto il suo invito è stato per me un’autentica gioia. Dormivamo tutti e quattro nella stessa stanza.
Con Roberto facevamo delle scenette in stile Sandra & Raimondo, riferendoci a te come fossi la nostra bambina. “Guarda, la nostra creatura è ancora sveglia. Ha ancora la luce accesa. Starà studiando. Com’è intelligente! Tutta sua madre”. Che poi non si sa come, ma al mattino mi svegliavo e al mio fianco c’eri tu. Così ci facevamo qualche risata accompagnata da qualche coccola.
Le tue manine morbide erano curatissime, soprattutto quella che stringeva la cannuccia. Te l’ho accarezzata così tante volte. Riuscivi a controllarla, a stringerci la mano. Era il tuo modo di abbracciare.

La colazione delle vacanze mi ha lasciato sempre interdetta. Non mangiavi niente, ma proprio niente. Solo qualcosa da bere, giusto per farmi piacere. E io che non riuscivo a resistere a quelle colazioni montanare… Che atmosfere irripetibili, che posti incantevoli, che compagnia ottima: la ricetta era perfetta!

Poi gli anni sono passati, ma non ci siamo mai persi di vista. Abbiamo sempre trovato le occasioni per ritrovarci. I compleanni, le partire dei mondiali e degli europei di calcio diventavano cene, dopo cene, serate karaoke. Riuscivamo anche a ballare, a fare piroette perfette e casquè tra le tue ginocchia. Eravamo tutti amici: dove non arrivavi tu, c’eravamo noi. Abbiamo sempre trovato il modo, assieme ai tuoi genitori.

Oggi ci ritroviamo ancora per festeggiare il tuo compleanno, dando sempre un senso, uno scopo che va ben oltre lo stare tutti insieme seduti a tavola. E sono certa che ogni volta che intoniamo la canzone di buon compleanno tu ci sei, con lo sguardo attento, il viso sorridente, pronto a prenderti tutti i baci delle ragazze in fila.
Magari ci scappa che qualcuna abbia pure una bella scollatura!».

Andrea Barbato – amico e insegnante di nuoto
Intervista di Roberto Vian

Andrea Barbato è stato l’insegnante di nuoto di Franco, anche se dirlo così è perlomeno curioso. E poi anche lui, in buona compagnia, ha accompagnato Roberto e Luisa in quell’idea visionaria che ha portato a far nascere la cooperativa Il Germoglio.

Andrea, dimmi di Franco.

“Non ho mai conosciuto una persona così tenace, con una costanza e una forza così grandi. Mi sono chiesto spesso se Franco fosse proprio così o se lo facesse per compiacere in qualche modo i suoi genitori, i figli a volte lo fanno..”

Quando lo hai conosciuto?

“Erano i primi anni ’80 e stavo laureandomi all’ISEF, l’Istituto Superiore di Educazione Fisica, e insegnavo nuoto in piscina. Franco è stato un mio allievo, direi molto speciale.
Così speciale che la mia tesi di laurea l’ho fatta su quella esperienza, parla di Franco.”

Vuoi dire che Franco nuotava in acqua?

“Certo che nuotava, a modo suo. In acqua riusciva a compiere dei movimenti del corpo che fuori non gli erano permessi. In acqua stava bene, provava una sensazione positiva di leggerezza.

Come riusciva a stare a galla?


“Roberto ha creato con le sue mani un dispositivo che gli permetteva di rimanere con la testa fuori dell’acqua. Io lo chiamavo il “catamarano”. L’aveva inventato e costruito partendo dalla parte interna di un casco da moto, di sughero, dalla quale uscivano delle asticelle di ferro che andavano a collegarsi a dei galleggianti, uno a destra e uno a sinistra. Quello strumento era incredibile, dovevamo brevettarlo, l’ho detto molte volte a Roberto…”

Come immergevate Franco nell’acqua?

“Lo prendevo dalla carrozzina, in braccio, e lo lanciavo in vasca… Me lo diceva Franco di farlo, di non temere. Io mi tuffavo subito in acqua e andavo a riprenderlo. All’inizio non capivo quando veramente Franco poteva provare paura, e quindi ero timoroso nel proporre cose che potevano essere difficili per lui, ma Franco e Roberto mi spronavano ad osare sempre di più, e lì ho capito il grande desiderio di Franco di superare i limiti, di provare, di impegnarsi.
“Lanciami in acqua alta”, mi diceva. Che forza, che tenacia. Se tutti i bambini che ho allenato anche a calcio negli anni successivi avessero avuto quel coraggio e quello spirito…

Io ti ho conosciuto con l’esperienza del Germoglio, come è successo?

“Roberto, sempre lui. Aveva continuamente idee, e io lo assecondavo come potevo, mi chiedeva un parere, di dargli una mano e io gli dicevo sempre di si, perché capivo che erano intuizioni giuste e che aveva la forza di portarle avanti.
Un giorno mi ha parlato di questa iniziativa, di creare un ambiente, un’occasione per persone svantaggiate, disabili, per potersi realizzare, trovare dignità anche dal punto di vista professionale. E gli ho detto di sì, che lo avrei aiutato.
Quell’idea è diventata una cooperativa sociale, e ho accettato di esserne il vice-presidente per diversi anni, all’inizio, e Roberto ne era presidente.

Cosa ti è rimasto di quella avventura e di Franco?

“Dopo aver lasciato l’insegnamento in piscina, sono diventato promotore finanziario. Potevo fare una carriera di tipo più manageriale, più legata ai numeri, alle cifre, ma ho preferito rimanere più vicino alla consulenza, alle persone, al contatto umano. Credo di aver fatto questa scelta dopo l’esperienza di Franco e del Germoglio, non ho dubbi.”

E la tua domanda iniziale, quella se la tenacia e la forza di Franco fosse per compiacere i propri genitori?

“Ci siamo visti qualche giorno fa con Roberto e Luisa, e ho avuto modo di porre a loro la
domanda. Mi hanno rassicurato, Franco era proprio così, in tutto ciò che ha fatto nella sua
vita. E anche a quel tempo in piscina con me.”

Leave A Comment

3d book display image of LA FELICITA' NON DIPENDE DALLA FORTUNA

LA FELICITA' NON DIPENDE DALLA FORTUNA

MA DALLA CAPACITA' DI LEGGERE LA VITA
Ci sono persone che hanno la capacità di rimanere per sempre. Anche quando muoiono. Certo, tutti coloro che ci lasciano continuano a essere nei nostri pensieri, nei nostri ricordi, nelle nostre lacrime, nei sogni. Ma c’è anche chi riesce a fare di più.
Restare. Qui e ora. In un’altra dimensione, in un corpo che non si può toccare, in una voce che persiste nelle nostre menti e nelle nostre anime.
La loro presenza continua a farsi percepire forte e chiara.
Franco è una di queste persone speciali.
A ciascuno di noi ha lasciato qualcosa di prezioso e quel qualcosa continua a vivere.
A ciascuno di noi spetta il compito di custodire e testimoniare il suo insegnamento.

Chiedi una copia del libro >>